L’abitato, adagiato a 540 metri sul livello del mare, in una gola tra i Monti Sella di Conza e Marzano, è posto in una posizione paesaggistica montana di notevole fascino. Alla sua destra si può osservare il corso del fiume Temete. L’ultimo e distruttivo sisma del 23 novembre del 1980 lo ha distrutto quasi del tutto, ma ora è stato ricostruito. Si distingueva, in antico, per la sua condizione di feudo ecclesiastico degli arcivescovi Conzani.
Da visitare il Museo del Sacro, dove vi è la possibilità di ammirare alcune vestigia ed altre testimonianze artistiche sacre, chiaro esempio del ricco patrimonio culturale - artistico ed architettonico - presente a Santomenna, purtroppo perso con il terremoto del 1980.

 

Storia

 

Le origini si fanno risalire all’860 d.C. come feudo ecclesiastico. Secondo la tradizione popolare Santo Menna, martire egiziano, costruì una cella sulla zona più alta del territorio dove si rifugiò, dove i frati benedettini costruirono un monastero divenuto proprietà della Chiesa e posto sotto il controllo dell’Arcivescovo di Conza. Il culto di questo Santo – oltre al pellegrinaggio – si estrinsecava nell’uso di piccole ampolle di terracotta, al cui contenuto veniva attribuito rilevante potere taumaturgico e propiziatorio. Verosimilmente il culto di San Menna fu alimentato dalla presenza sul territorio di numerose sorgenti d’acqua che ricordavano il miracolo nel deserto nordafricano secondo il quale, nei pressi del luogo di sepoltura del martire, sgorgarono inspiegabilmente numerose sorgenti d’acqua dagli effetti miracolosi. Così la Chiesa consolidava il suo potere: tutta l’Alta Valle del Sele e dell’Ofanto si trovarono riunite nella vasta circoscrizione della Arcidiocesi di Conza degli Irpini, situazione perdurata fino al 1921. 
La tormentata orografia dei luoghi fece sì che, a partire dal XV sec, i vari Arcivescovi succedutisi sulla Cattedra conzana, scegliessero di dimorare in S. Andrea di Conza o in Santomenna, a seconda delle opportunità o delle esigenze. Così che la vasta circoscrizione ecclesiastica ebbe sempre due “capoluoghi”: una per l’Irpinia e una per la Valle del Sele. Per il suo particolare clima molti arcivescovi vi trascorrevano l’inverno ed è per questo che vi fu trasferito anche il tribunale arcivescovile e vi fu fondato il seminario. Nel XVI secolo la città perse in parte al sua dipendenza dalla Chiesa perché fu affidata alla famiglia Mirelli, principi di Teora. Il distacco definitivo si ebbe nel 18148 quando l’Arcidiocesi di Conza fu unita a quella di Satriano e Campagna.

 

Da Vedere

  • Palazzo De Ruggieri che risale al 1800, oggi adibito a museo
  • Convento dei Cappuccini del 1580, nel quale è possibile visitare la cappella di S. Vito, dove è ancora possibile ammirare il sarcofago di un insigne Arcivescovo di Conza, Ercole Rangone, deceduto nel seminario di Santomenna
  • Chiesa S. Maria delle Grazie che risale al XIV secolo, con la grande cupola che caratterizza la veduta di Santomenna
  • Museo del Sacro, dove vi è la possibilità di ammirare alcune vestigia ed altre testimonianze artistiche sacre, chiaro esempio del ricco patrimonio culturale - artistico ed architettonico - presente a Santomenna, purtroppo perso con il terremoto del 1980 
  • Chiesa della Congregazione dell’Immacolata Concezione eretta ai primi del ‘700, con edificio ad un’unica navata, conclusa da un’abside riccamente decorata a rilievo, sormontati da un baldacchino retto da angeli
  • Antica bottega del maniscalco che ricorda il Miracolo di San Gerardo
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    Il miracolo di San Gerardo

    L’episodio miracoloso avvenne quando ormai la fama di S. Gerardo aveva varcato ogni limite; i suoi superiori per aderire alle pressanti richieste della povera gente gli procurarono un cavallo, col quale spostarsi rapidamente. I ferri agli zoccoli del cavallo avevano spesso bisogno di essere sostituiti. Gerardo ogni tanto andava a Santomenna per far visita allo zio. Lungo la strada per raggiungere il convento si trovava un maniscalco e, un giorno, passando di lì pensò di approfittarne per ferrare il cavallo. È importante sottolineare che dell’episodio sono riportate due versioni: la prima è l’agiografia ufficiale, l’altra è tramandata dai discendenti del maniscalco; tenendo conto della statura del Santo, sembra più logica e convincente. Il maniscalco ferrò il cavallo e, pensando che il frate fosse uno sprovveduto forestiero, pensò di approfittare dell’occasione chiedendo un prezzo di gran lunga superiore a quello reale. Il Frate, di fronte alla richiesta palesemente ingiusta, prima lo redarguì aspramente, poi, vista l’insistenza del maniscalco nella sua insana richiesta, rivolto al cavallo disse: “Restituiscigli i ferri!”. L´animale alzando, l’uno dopo l’altro, i quattro zoccoli, li fece cadere per terra. Il maniscalco, pentito e sbalordito dell’insolito avvenimento, si offrì di rimetterli senza percepire neppure un soldo. Il Frate, nonostante i richiami insistenti del maniscalco, imperterrito proseguì il cammino senza voltarsi. I discendenti del maniscalco raccontano, invece, che si era nel mese di agosto; il maniscalco, molto infastidito dai tafani che, in estate, infestavano Santomenna, si fece scappare qualche bestemmia. Il Santo, che non lo avrebbe mai tollerato alla sua presenza e, anche perché si sentiva quasi in colpa per aver voluto ferrare il cavallo, andò su tutte le furie; visto che il maniscalco non desisteva, preferì, piuttosto che continuare ad ascoltare le orribili bestemmie, non ferrare più il cavallo e restituire i due ferri già fissati. Il resto concorda con quello riportato dai biografi; il maniscalco da quel giorno, colpito dallo straordinario evento, smise di bestemmiare e la sua famiglia divenne una delle famiglie più religiose e devote di Santomenna. Oggi davanti all’antica fucina del maniscalco è posta una lapide a memoria del miracoloso evento; con estrema e gentile disponibilità della famiglia discendente, è possibile anche entrarvi. La visita alla piccolissima ed antica bottega, certamente suggestiva ed emozionante per l’aspetto devozionale, risulta essere anche di grande arricchimento cultural-antropologico: si possono ammirare i vecchi sistemi di lavorazione del ferro che, come per altri antichi mestieri, molto spesso si svolgevano negli stessi luoghi di altre attività rurali della famiglia; a conferma di ciò, all’interno vi sono i resti di un piccolo ricovero per “crescere il maiale”, di importanza vitale nella cultura contadina.
     

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